Quello che devi sapere sul Native Advertising

In molti casi si parla di Native Advertising come di “un’evoluzione della display advertising”, in altri come di “una tattica di content marketing” o come sinonimo di “contenuti sponsorizzati”.

Probabilmente sono vere tutte queste definizioni.

Se però ti occupi di Digital Strategy, la cosa più importante che devi capire è innanzitutto come funziona e perché oggi è ormai essenziale usare il native in una strategia digital globale per il brand. Il  motivo della sua importanza è evidente: l’utente web non ama essere interrotto durante la navigazione dagli spot pubblicitari.

Il livello di attenzione degli utenti online è costantemente in calo: oggi è di appena 8,2 secondi. Per le aziende, questo si traduce in un costo di acquisizione sempre più elevato. È in questo contesto che diventa fondamentale adottare il native advertising.

Nel native advertising la comunicazione pubblicitaria assume la forma del contenuto stesso e riesce a diventare interessante perché ha lo stesso valore funzionale, informativo o di intrattenimento del contenuto in cui è inserita. Solo quello che non viene riconosciuto come interruzione, infatti, permette di ottenere tassi di engagement significativi. Ecco perché le aziende investono budget sempre più alti in content marketing e native advertising, con l’obiettivo di aumentare l’intenzione d’acquisto dei consumatori.

La user experience deve essere sempre valorizzata per fare in modo di aumentare la probabilità che il contenuto pubblicitario venga visualizzato e, allo stesso tempo, renderlo più rilevante per il consumatore.

L’idea alla base del native advertising non è di certo nuova: basti pensare al classico publiredazionale nelle riviste cartacee. Nel contesto digitale, questo formato diventa più organico e si inserisce nel flusso di navigazione dell’utente: la distinzione tra contenuto editoriale puro e contenuto editoriale sponsorizzato diventa sempre più labile.

Le principali forme di Native Advertising che siamo abituati a vedere ogni giorno sono ad esempio i True View di Youtube, i Tweet sponsorizzati e i post sponsorizzati di Facebook.

Ma vediamo insieme i motivi che spingono un’azienda ad adottare il native advertising:

 

  • Permette di raggiungere il target desiderato con un messaggio adeguato, rilevante e interessante per l’utente.
  • Riesce a coinvolgere il consumatore e acquirente potenziale di un prodotto o servizio.
  • Rappresenta il modo più efficace per creare il passaparola, genera infatti passaparola e condivisioni.
  • Permette di catturare l’attenzione degli utenti con un contenuto utile, pensato attorno alle esigenze del target.

 

E quali canali sono più adatti?

 

Si possono utilizzare due canali: quelli UGC (User Generated Content, contenuti generati dagli utenti – tipici dei social network) e i contesti premium, ovvero siti editoriali i cui contenuti sono elaborati e curati da una redazione.

 

Il contesto social consente di arrivare a reach molto ampie e profilate, sollecitando interazioni e condivisioni; il contesto premium garantisce  invece brand safety (ossia sicurezza di apparire in spazi o contenuti che non danneggiano l’immagine del Brand) e un’efficace pianificazione contestuale, ovvero coerente con il contenuto all’interno del quale è inserito il formato pubblicitario (impossibile in contesti social).

In conclusione possiamo con certezza dire che la crescita della native advertising va inquadrata, comunque, in un contesto sempre più mobile first. Secondo le stime infatti, circa i tre quarti della popolazione sarà connessa da un device mobile entro il 2020: 3.1 miliardi di persone che giustificano le previsioni di una spesa per la mobile advertising pari, entro lo stesso periodo, al 71% dell’intera spesa digital e al 32% di quella su tutti i media.

 

È fondamentale quindi per le aziende comprendere le potenzialità di questo mezzo, arrivando a inserirlo nel proprio digital mix, a supporto della promozione dei propri contenuti e del raggiungimento degli obiettivi di marketing e comunicazione.

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