Fare buona comunicazione ai tempi del coronavirus

C’è un’occasione storica per i professionisti della comunicazione per dare un apporto concreto al rilancio delle imprese e del nostro Paese. Ed è un’opportunità unica perché prevalgano le competenze, la serietà professionale, la visione strategica. Lo abbiamo visto: sembra che il coronavirus abbia resettato molti dei valori della nostra società e che oggi si senta il bisogno di raccontare una storia diversa. È anche una occasione per le aziende, piccole o grandi che siano, per non disperdere quel capitale intangibile fatto di persone, idee, credibilità, relazioni e parlare di sé in un modo nuovo e più in linea con la fase storica in cui stiamo vivendo. I passi da fare provo a raccontarli in questo mio contributo*.

Il nodo comunicazione

Cominciamo dalla comunicazione interna. Molte imprese stanno cambiando faccia, inventando nuovi prodotti, cercando nuovi mercati e devono anche insegnare ai collaboratori a lavorare in modo diverso, incoraggiandoli e rassicurandoli. Di più, devono tirare fuori da ogni collaboratore il meglio di sé, perché anche questa volta è la squadra che vince.

Già da alcuni anni si era capito che valeva la pena di investire sull’employer branding, insomma di ingaggiare di più i dipendenti, perché anche verso l’esterno sono loro il primo biglietto da visita, quelli più credibili, quelli più vicini ed intimi alla comunità in cui è inserita l’azienda, e in ultima analisi a tutti gli stakeholder. In questo momento una buona comunicazione interna non è più un optional, ma si ha l’impressione che manchi in alcune realtà esperienza e quindi strategia.

Quella della comunicazione interna è una professione vera, che crea valore e soprattutto permette di proteggere l’azienda da molti rischi. Non basta cercare di tenere tutti uniti con Teams, Zoom, Skype e tanta tecnologia, formazione on line, persino corsi di ginnastica da casa. Non è solo una questione di creatività. Non basta nemmeno mettere dei semafori in azienda, distribuire mascherine e rispettare le regole. Ogni azienda dovrà fare una promessa ai propri dipendenti: vicina alla sua storia, ma anche abbastanza credibile per quelle che sono le condizioni di mercato. Ci vorrà sensibilità e non solo determinazione. Ci vorranno dei professionisti e non solo persone “di fiducia”. Ci vorranno comunicatori capaci di usare la tecnologia, ma ci vorranno soprattutto i contenuti. La tecnologia da sola non comunica nulla e bisogna evitare l’errore di partire dalle piattaforme per poi metterci i contenuti. Prima bisogna capire cosa si vuole dire e poi si decide quale è il migliore strumento.

La sostenibilità

Passiamo a un’altra parola chiave: sostenibilità. La prima responsabilità di un’impresa è il profitto, mi insegnava un grande imprenditore, Vittorio Merloni, uno dei più amati presidenti di Confindustria. Ma il profitto, già allora, non era tutto: l’imprenditore voleva vedere negli occhi la felicità dei suoi operai e la soddisfazione delle signore che usavano le sue lavatrici. Aumentare i profitti senza prestare attenzione alla sostenibilità, può non essere la ricetta giusta per uscire dalla crisi di oggi.

Innanzitutto, bisogna interpretare i segnali del mercato e dei nuovi consumatori. Anche prima del coronavirus la domanda andava nella direzione di prodotti biologici, più attenti all’ambiente, nella direzione di una mobilità diversa, più sostenibile, di maggiore rispetto e attenzione per le condizioni di lavoro, per il sociale. Oggi questa sensibilità è raddoppiata, ma c’è anche l’incertezza, il problema di arrivare a fine mese. E mai come oggi, da parte delle imprese, c’è anche la responsabilità sociale di orientare questo consumatore smarrito e a volte nostalgico verso nuove scelte più razionali e sostenibili. Anche qui il ruolo della comunicazione sarà fondamentale.

Non sarà semplice convincere definitivamente l’opinione pubblica a scegliere la mobilità elettrica e sarà ancora più difficile convincerla a optare per intelligenza artificiale e 5G. Tutte le aziende, anche nei settori tradizionali, si giocheranno una partita importante nel dialogo con gli stakeholder. La sostenibilità che inizialmente era considerata beneficienza o poco più, gradualmente è diventata una leva del top management per gestire l’azienda e indirizzare gli investimenti. Oggi dopo l’emergenza Covid-19 torna prepotentemente ad essere anche una leva fondamentale per la reputazione aziendale. Il modo in cui si risponde e comunica può essere un fattore di successo o insuccesso.

Prendere posizione

Prendere posizione e scegliere cosa dire. Alla fine, dalla comunicazione l’imprenditore si aspetta sempre un supporto strategico, che serve per definire un posizionamento, che descrive l’evoluzione dell’azienda, un supporto efficiente nella promozione dei prodotti e la protezione del business (quanto ne hanno bisogno in questa epoca di fake news). Da domani, però, non saranno gli strumenti a fare la differenza, ma la qualità dei contenuti e l’esperienza. Non è un caso che in questi giorni più di un’azienda ci abbia contattato così: “Abbiamo agenzie per i social, di pr e per la pubblicità, vanno benissimo ma dobbiamo spiegare loro cosa dire”. Non è una questione di coordinamento, ma di qualità dei contenuti.

I social sono un ottimo strumento, ma quando sono esplosi si è guardato più ai mi piace e ai follower che a quel che si diceva. Oggi c’è grande bisogno di informazioni costruite da professionisti non da smanettoni, anche se rimane sempre importante la facilità dello strumento e l’esperienza di navigazione (social, video, podcast continuano ad avere successo, ma servono solo se si ha chiaro cosa raccontare e se si ha il coraggio di prendere una posizione).

Benissimo utilizzare i millennials, ma solo se sono davvero preparati. Il giovanilismo anche in comunicazione è finito. Per di più, lo dico con soddisfazione avendo fatto parte qualche tempo fa dell’agenda digitale, in poche settimane questa pandemia ha molto avvicinato le competenze generazionali sul digitale e quello che ormai fa la differenza è la capacità di visione, le conoscenze scientifiche ed economiche e più in generale la cultura. Per informare e comunicare bisogna essere colti, intelligenti e creativi. Quando si tratta di prendere una decisione da cui dipende la reputazione di un’azienda anche l’esperienza ha la sua ragione d’essere.

Il tema dell’informazione

La buona informazione tornerà di moda? Dai dati che abbiamo a disposizione in Smartitaly, ci risultava già un recupero di fiducia verso le firme più autorevoli e i leader d’azienda, anche prima della pandemia. Oggi siamo tutti alla ricerca di speranze e guide. Anche manager e imprenditori possono esserlo. Su Linkedin (uno degli strumenti cresciuti in modo esponenziale negli ultimi 2 mesi) possiamo percepire chi è più bravo o meglio consigliato. C’è un tema di fiducia. Per averla gli imprenditori ci devono mettere la faccia, ma non basta. Devono essere solidi, ben assistiti. Anche sul prodotto, la competenza è la parola d’ordine.

Advocacy. Questa pandemia ci ha mostrato quanto sia importante un dialogo trasparente e costruttivo tra imprese e istituzioni, soprattutto a livello territoriale. La collaborazione e la serietà di chi rappresenta le aziende è decisiva per la fase II, ma anche per la III, quella che speriamo arrivi il prima possibile, in cui saranno rilanciate opere pubbliche e investimenti privati. Vogliamo più velocità e meno procedure? Allora dobbiamo saper spiegare meglio al territorio i nostri progetti.

Ma essere seri e professionali, per comunicare bene, in questo momento non basta. Occorre acquisire alcune doti, come pazienza, ascolto, generosità e saper gestire tutto il potenziale offerto dal digitale. Adesso o mai più: chi sbaglia a comunicare adesso, difficilmente saprà cogliere i vantaggi della discontinuità. Difendersi e rimanere ancorati nella propria posizione rischia di toglierci la possibilità di un futuro, invece accettare la drammatica sfida di questa crisi potrebbe essere un grande vantaggio, anche per chi da challanger nel suo mercato, come spesso siamo noi italiani, dovrà affrontare la dura competizione globale.

*Articolo pubblicato originariamente su Wired

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