La nostra società, e con essa anche il mondo del lavoro, è entrata nel new-normal post-pandemia. In questo nuovo orizzonte il mercato del lavoro si è trovato ad affrontare numerose sfide, tra le quali è necessario nominare i fenomeni che gli statunitensi hanno denominato Great Resignation e quiet quitting.
Il modo in cui molte aziende hanno deciso, o si pensa che decideranno, di procedere è l’implementazione o il miglioramento delle attività di employer branding.
Come annuncia il nome stesso il processo implica la vera e propria creazione di un brand riguardante le aziende datrici di lavoro, in modo da apparire appetibili ai possibili impiegati. In questo articolo andremo ad analizzare i pilastri principali di questo aspetto della vita aziendale.
La centralità della Reputazione
Benché si sostenga che l’abito non faccia il monaco, questa mentalità non si applica al mercato del lavoro. In un mondo nel quale i social media ricoprono un ruolo fondamentale nella vita di ognuno di noi, le società devono curare al meglio la propria immagine. Quest’ultima, infatti, risulta essere uno dei fattori principali del processo decisionale di coloro che stanno cercando un nuovo impiego. Aziende con una cattiva reputazione tendono ad essere escluse per due ragioni: la possibilità che tale immagine si trasferisca sui dipendenti stessi e la paura del tipo di ambiente nel quale ci si troverebbe se si decidesse di entrare nel team.
Cultura aziendale e nuove generazioni: i cambiamenti per il 2023
La cultura aziendale è da sempre un punto focale della creazione di aziende e ambienti lavorativi funzionali. Infatti, è proprio la cultura che pone le fondamenta della visione, gli obbiettivi, ed i valori di una compagnia. Negli ultimi anni, anche grazie alla pressione posta sulle aziende da parte delle nuove generazioni di lavoratori, si è assistito ad un’apertura sempre maggiore in campi quali l’inclusività e la solidarietà.
Millennials e Gen Z tendono infatti a prediligere aziende con ampia diversità, inclusività ed interesse nell’aiutare la comunità nella quale la propria azienda si inserisce. Vengono dunque predilette quelle aziende che sono consapevoli delle proprie imperfezioni e tentano di migliorarsi, così come quelle che si impegnano per migliorare la società nella quale si trovano.
Social media, strumento sempre più chiave nell’employer branding
Secondo i dati raccolti da Universum, oltre l’80% delle persone utilizzano piattaforme digitali per la ricerca di un posto di lavoro e, di conseguenza, la presenza aziendale su di esse sta crescendo in maniera esponenziale. Circa il 35% del top management delle aziende analizzate ha spiegato come pensino che i social siano il canale più efficacie nella ricerca di personale, mentre il doppio delle aziende sostiene che aumenterà la propria presenza online entro il 2025.
Tra i social media maggiormente utilizzato dalle aziende troviamo LinkedIn, una piattaforma strettamente professionale che connette i diversi attori del teatro lavorativo internazionale. Quest’applicazione è lo sfondo sul quale vengono presentati lavoratori, aziende, ed eventi ad un pubblico specifico.
Concentrandoci su quanto attiene le aziende, è stato dimostrato che il modo migliore per raggiungere l’audience desiderata è fornire contenuti nuovi ma, soprattutto, veri. Nonostante il fascino di foto da rivista patinata o di video esteticamente piacevoli, gli utenti di LinkedIn sembrano rispondere in maniera migliore a contenuti più reali.
Storie raccontate dai dipendenti, presentazioni del bello e brutto dell’ambiente aziendale o, ancora, video in cui si mostra il lavoro quotidiano rendono l’azienda concreta e meno artificiosa agli occhi di possibili nuovi dipendenti. In questo modo i dipendenti si sentono partecipi della vita aziendale, non solo come parti di un meccanismo più grande ma come persone che vengono ascoltate, andando ad aumentare l’engagement.
Inoltre, è risaputo che le parole di lavoratori presenti o passati di un’azienda sono molto più convincenti rispetto ad attività puramente commerciali svolte dalle compagnie. Questa constatazione ci porta al punto seguente: l’employee experience.
Employee experience e employee value proposition: keep it positive, keep it real
Con il termine employee experience si indicano l’esperienza, la valutazione, e la visione che un dipendente ha della propria azienda. Una percezione positiva dell’azienda da parte dei propri dipendenti porta numerosi vantaggi quali tassi più alti di engagement, performance eccellenti sia a livello individuale che aziendale e un minor turnover.
Uno dei metodi più efficaci per ottenere tale risultato è creando una buona employee value proposition. Quest’ultima è la relazione che si instaura tra azienda e dipendente; più nello specifico tra le aspettative e gli obbiettivi che vengono posti dalla compagnia ed il compenso che ricevono i lavoratori in caso di risultati positivi. Tale rapporto deve sempre essere bilanciato e, soprattutto ora che ci troviamo in un momento in cui i dipendenti tendono a sentirsi demoralizzati o sottovalutati, fatti su misura. Il tocco personale che viene aggiunto ai bonus è ciò che distingue le buone aziende da quelle eccellenti.
Queste ultime, infatti, utilizzano l’approccio people-first. In altre parole, pongono i dipendenti al centro delle proprie decisioni vedendoli come persone e non solo come ingranaggi di una macchina. Agendo in questa maniera le società creano un’immagine positiva di sé stesse e, allo stesso tempo, instaurano un buon rapporto coi lavoratori dando priorità alle loro necessità e desideri.
È infatti significativa la visione che le persone hanno del lavoro in seguito alla pandemia. La maggior parte dei dipendenti desidera ottenere un equilibrio tra lavoro e vita privata, tendono a focalizzarsi maggiormente sulla propria salute fisica e mentale, così come alla ricerca di una motivazione. Queste sono le caratteristiche dei lavoratori del presente e del futuro considerando che Millennial e Gen Z, che condividono i valori di cui sopra, formeranno circa il 75% della forza lavorativa entro il 2025.